Anche quest’anno, come ogni anno, arriva in Italia il Rock in Idro, festival nato in principio con base fissa a Milano, poi migrato in altre città. Quest’anno fa tappa a Bologna, ed i giorni di festival sono ben 4, perfettamente categorizzati per genere: elettronica, punk/ska, metal e alternative. Preso il biglietto per il secondo giorno con il mio buon amico Marco si inizia a temere per la riuscita del concerto: il primo giorno annullato per pioggia non faceva ben sperare. Il bild è da non perdersi per nessun motivo, se si ama il punk e lo ska: Penniwise, Millencolin, Gogol Bordello, Ska-P e the Pogues.
Si decide di arrivare presto la mattina in modo da poter assistere allo show dei primi 4 gruppi: Lennon Kelly, Russkaja, Snuff e You Me at Six. Gli unici a colpire la nostra immaginazione sono stati i secondi, che in soli tre pezzi (uno è stato tagliato), sono riusciti e coinvolgerci grazie anche al loro “Ska sovietico” e grazie anche alla clamorosa capacità di saper gestire il pubblico. Il loro cantante un mattatore assoluto: Georgij Makazaria.
Per quel che riguarda gli altri tre gruppi se i primi hanno avuto troppo poco tempo per mettersi in mostra, i terzi hanno proposto un punk molto classico molto segnato dalla voce del batterista-cantante scongelato per l’occasione (vista l’età) con una voce talmente gracchiata che poteva tranquillamente “doppiare pappagalli nei film” (cit.). Nota stonata gli You me at Six, completamente fuoriluogo in quel contesto; chiamati solamente per attirare le ragazzine (riuscendoci) e con un cantante talmente scomposto da avere “palesi problemi di scoliosi” (cit.).
Il primo grande nome del giorno: i Pennywise. Il tour di supporto del venticinquennale non è ancora finito e dopo la reunion con il cantante storico Jim Lindberg (riappacificatosi con l’enorme chitarrista Fletcher Dragge) sembra aver dato nuova linfa alla band americana. Un’ora di spettacolo ininterrotto (con in mezzo una cover dei Bad Religion) in cui nessuno dei loro pezzi più celebri è stato trascurato: “Perfect People“, “Pennywise“, “Fuck Authority“e “Same Old Story“. La chiusura è assegnata, come sempre, a “Bro Hymn“, che fa letteralmente esplodere la folla pagante.
Dopo di loro è il turno degli svedesi Millencolin (band che amo da sempre) ancora un po’ scottati dalla loro ultima apparizione a Bologna: in quell’occasione furono presi a sassate dai fan dei Blink 182, ma oggi, fortunatamente non è così. I quattro di Orebro (che non pubblicano un album dal 2008… sì, questo lo scrivo con rabbia) realizzano uno spettacolo perfetto, mettendo assieme pezzi celebri come “Fox“, “No cigar“, “Duckpond” (tratti dal loro album più celebre “Pennybridge Pioneers”) e ed altri più recenti come “Carry you” e “Farewell my Hell“. Non mancano quelli tratti dal primo album: “Mr. Clean” per esempio, che è stata cantata non dal bassista Nikola Sarcevic ma dal chitarrista Mathias Farm. Per quel che riguarda lo spettacolo offerto da loro, sono sempre una garanzia di follia.
Arriva il turno dei balcanici Gogol Bordello e, lo ammetto, ero molto prevenuto nei loro confronti: la loro musica da CD non mi aveva mai preso più di tanto, ma dal vivo la stria è completamente diversa; la band capitanata da Eugene Hurtz (che si è seccato una bottiglia di vino in metà spettacolo) riesce, ti piaccia o no, a coinvolgerti. Oltre alle esecuzioni perfette dei loro brani, bisogna tener conto della loro immensa capacità di tenere il palco come pochi.Il front-man lo conosciamo tutti, ma una menzione d’onore spetta al violinista Sergej Rjabcev che come un folle saltava da una parte all’altra del palco divertendo chiunque. Lo ammetto: per me sono stati una graditissima sorpresa.
Era arrivato il momento del main-event, gli Ska-P, che non venivano a Bologna da 12 anni. Nel pubblico aleggiava molta curiosità su quali canzoni avrebbero suonato: quelle degli ultimi due album post-reunion (“Lagrimas y Gozos” e “99%”) o i loro grandi classici? La scelta optata dalla band di Madrid è stata la seconda. In scaletta pezzi come “Romero el Madero” (con Pipi vestito da gorilla), “El vals del Obrero“, “Estampida“, “Verguenza” (con ennesimo cambio di costume di Pipi, questa volta da torero), “Cannabis” (che, ci tengo a sottolineare che NON si chiama “legalizacion”, porco il cazzo) giusto per dirne alcune, e solo tre o quattro pezzi tratti dagli ultimi due lavori, tra cui quello di apertura “Fuel gas“. Lo spettacolo non ha una grinza né sonora, né di impatto, grazie anche all’incredibile carica del chitarrista Joxemi e la simpatia mostrata, nonostante la sua faccia burbera, dal trombettista Txikitin. Uno spettacolo unico nel suo genere con una sola pecca: la non esecuzione di “A la mierda” causa carenza di tempo.
Per calmare gli animi dopo uno show del genere serviva qualcosa di spoft, e a pennello arrivano i The Pougues e i loro 32 anni di carriera di folk-pop irlandese. La band, capitanata da Shan MacGowan (questa volta con tutti i denti), riesce a calmare gli animi, nonostante l’elevatissimo tasso alcolico presente nel sangue del front-man, con pezzi come “Dirty old Town“, la conclusiva “Fiesta” e la celebre “The Irish Rover“.
Una giornata pazzesca quella del Rock in Idro, gustata tutta in prima fila, dove giovani e vecchi pogavano assieme (si, c’erano anche qui i miei peggiori nemici: i pogatori con il gomito alto) con band che hanno divertito e fatto appassionare ogni persona presente in un meting-pot musico-culturale che chiunque delle migliaia di persone presenti non dimenticherà facilmente.