Ho preso un libro che si chiama “La Società degli Uomini-Barbagianni”.
La cosa bella di aver comprato “La Società degli Uomini-Barbagianni” è che una volta che lo inizi lo vuoi finire nel minor tempo possibile.
La cosa brutta di aver comprato “La Società degli Uomini-Barbagianni” è che una volta che lo finisci ti penti di averlo finito nel minor tempo possibile.
La copertina è nera e c’è scritto sopra in bianco “La Società degli Uomini-Barbagianni”.
Non è semplice parlare de “La Società degli Uomini-Barbagianni”.
E’ una fiaba nera è vero. Ma è anche un sogno lucido. Un incubo. Il verbale di una trance finita male. La storia immaginaria e quotidiana di un uomo sensibile.
Come si fa a parlare de “La Società degli Uomini-Barbagianni”? Come si fa a parlare di una fiaba dei fratelli Grimm? Come si recensiscono le Fiabe?
Non si può. Meglio parlare di come ci si sente dopo aver letto. Di quello che resta.
Penso a come si sente A. che è il protagonista. E nella sua inadeguatezza lo percepisco vicino.
Penso alla casa dove vive, che sta per essere ingoiata da un bosco nero. E il bosco nero lo sento anche io.
Ché mentre leggo mi vuole ingoiare.
Nel bosco nero, in lontananza si sentono i versi degli uomini-barbagianni che sono alti anche quattro metri.
Le donne-barbagianni sono alte, hanno una leggera peluria che va dal collo al seno. Per il resto sono indistinguibili dalle donne normali. Hanno rapporti con gli uomini, ai quali succhiano energia sessuale.
Gli uomini-barbagianni cacciano umani, cavalli e cani. Li lavano per bene e poi li bruciano vivi prima di mangiarli.
Il capo degli uomini-barbagianni è gigantesco e anche gli uomini-barbagianni lo temono.
Padre Tale è esperto degli Uomini-Barbagianni. E non credo sia necessario sapere altro.
“La Società degli Uomini-Barbagianni” è il primo romanzo che riesco a terminare da tre anni a questa parte.
L’isolamento, l’alienazione, i trent’anni forse come scarpe di cemento hanno trascinato a fondo ogni mia voglia di intrattenimento puro e da un bel po’ riesco a leggere con piacere solo la saggistica.
Sarà proprio per empatia quindi; per aver percepito tra le righe lo stesso malessere generazionale che mi logora, che ho divorato “La Società degli Uomini-Barbagianni”. Mi sono sentito capito. Dopo tanto tempo.
La narrativa alla lunga finisce per somigliarsi anche un po’ tutta, e non ti va di sciropparti duecentocinquanta pagine dell’ennesimo noir col commissario che per farlo interessante lo rendi un po’ autistico, o peggio ancora il romanzo di viaggio o di formazione in cui il protagonista dopo molti ostacoli e delusioni riesce finalmente a lasciarsi alle spalle l’ex di Vibo Valentia eroinomane per prendere il bus da solo, al crepuscolo, a Tiburtina. Tra un caffè bruciato e un sole ancora freddo, lui sa che non è più lo stesso: chiude gli occhi, getta le chiavi di casa nel cestino. Il domani è una domanda nuova e da scegliere. Questo a lui può bastare. … to be continued
Anche l’editoria indipendente – limitatamente alla narrativa – alla fine propone raramente schemi diversi.
È il mercato baby.
C’è chi ha coraggio, per carità, ma quando si tratta di romanzi dipende molto dal guizzo personale dell’autore.
Dalla sua voce.
Emanuele Kraushaar ha una voce riconoscibile. E si vede benissimo in “La Società degli Uomini-Barbagianni”.
Potrebbe sembrare un romanzo destinato solo a fasce di pubblico più hardcore ma non è così.
Tutti possono leggere “La Società degli Uomini-Barbagianni”, ma chiunque lo legga deve mettersi necessariamente al servizio de “La Società degli Uomini-Barbagianni”.
Devi stare al gioco.
Non puoi, non devi uscire dalla trance de “La Società degli Uomini-Barbagianni”.
Ti devi immergere fino al collo. Credere fermamente ne “La Società degli Uomini-Barbagianni”.
Ascoltare le urla provenire dal bosco. Entrarci nel bosco. Graffiarti i gomiti coi rovi.
Dormire con a fianco la copertina nera col titolo in bianco.
Assorbirne le magiche vibrazioni.
Personalmente sono molto contento di sapere che in italia vengano pubblicati da case editrici anche importanti come Tlon dei libri coraggiosi come questo.
Perché è di genere, è delirante. Perché dice tanto di chi lo legge.
Perché oltre a quello che c’è scritto c’è tanto che non è effettivamente scritto.
Perché dopo ti guardi e conti i peli che hai sul petto.
Perché vuoi rileggerlo.
Perché anche se è un racconto d’orrore forse quell’orrore vorresti viverlo anche tu, o lo stai già vivendo.
Perché è un continuo rimbalzare tra eros e morte.
Un romanzo primordiale, ancestrale, rupestre. Sui muri di una grotta il disegno di A. stilizzato, nudo. Circondato da uomini-barbagianni e da un bosco nero. Sullo sfondo sua madre e una donna-barbagianni che si confondono.
Un testo che sembra scritto in trance. Dalla nostra parte animale.
In estasi. Sotto psicofarmaci.
Con i tappi alle orecchie per non sentire il richiamo delle donne-barbagianni.
L’ho apprezzato molto. È una fiaba diversa. intima e personale. Un film horror scritto bene.
Un quadro da appendere al muro: il dipinto di un uomo che ti guarda da dietro una finestra.
Uno specchio.
“La Società degli Uomini-Barbagianni”.