Sentivo freddo, molto freddo, mi scoprii con le spalle strette e le braccia conserte nel tentativo di scaldarmi, vidi Claudio accanto a me, gli chiesi con voce insonnolita “dove siamo?” “nel deserto” mi rispose lui, “negli Stati Uniti, nel Nevada”, parlava in modo pacato e tranquillo, “è Halloween” aggiunse. Mi voltai e mi diressi verso l’unica fonte di luce, un alto fuoco, cosi da potermi anche scaldare, vidi che lì c’era anche Luca intento a interloquire con Paolo, o per meglio dire, con la figura vaga e indistinta di Paolo… non capivo nulla, e non ebbi nemmeno il tempo di chiedere spiegazioni perché proprio allora Claudio ci chiamò a sé e noi ci dirigemmo verso di lui; “venite” continuava a chiamarci “le guide sono arrivate” continuavo a non capire e le mie domande crescevano in numero: come eravamo finiti in quel luogo? E soprattutto perché?
Claudio mi tese il braccio porgendomi qualcosa, io accettai quel fagotto “li hanno portati loro, serviranno a tenerci al caldo” disse, si trattava di giacche di colore scuro, logore ma non sporche, molto vecchie, di un tessuto pesante ma soffice al tatto, ci avrebbero tenuto davvero al caldo, la indossai immediatamente. Dopo averci dato gli indumenti Claudio si diresse nuovamente verso di loro, “chi sono?” domandai a Luca, “non hai sentito ciò che ha detto Claudio? Le nostre guide”, “ma per dove?” chiesi io, “per la festa” mi rispose. Claudio ci fece un cenno e ci invitò a seguirlo “incamminiamoci o faremo tardi”, cosi ci allontanammo dal fuoco e ci inoltrammo nella notte senza luna, le stelle erano molto meno luminose di quanto riuscissi a ricordare, non approfittai abbastanza in tempo della luce per poter scrutare le nostre guide, a sensazione avrei detto che non avevano un aspetto convenzionale per così dire… speravo vivamente stessero indossando dei costumi. Fu così che ci incamminammo per le dune sabbiose, il viaggio proseguiva lento e silenzioso, fino a quel momento da quando eravamo partiti nessuno di noi, tanto meno le guide, aveva detto una parola, di domande io ne avevo, anche troppe, ma non ebbi il coraggio di parlare, qualcosa me lo impediva, tutto avrei potuto pensare in quelle circostanze, ma mai che stessimo andando ad una festa, non era proprio l’atmosfera giusta, il viaggio comunque era meno faticoso del previsto e in lontananza si vedeva una luce arancione, un fuoco pensai, anzi no, era un falò, mi rallegrò la cosa, pensai che la festa fosse lì, si sentivano schiamazzi proprio in quella direzione.
Finalmente quel viaggio insensato avrebbe avuto fine, non sapevo cos’avrei trovato di là, ma il solo pensiero di arrivare a destinazione, per quanto ignota, mi consolava; quindi proseguimmo.
Man mano che ci avvicinavamo lo schiamazzo aumentava, ma non riuscivo ancora a scorgere nessuno, e nessuno scorsi nemmeno quando fummo arrivati di fronte a quel grande fuoco; “ma non era qui la festa?” chiesi incredulo “pensavo fossimo arrivati”, a quella mia domanda rispose con mio enorme stupore una delle guide con voce calda e divertita “no, non è qui la festa” e sentii, più che vidi, un sorriso , “dobbiamo solo fermarci a prendere l’attrezzatura per proseguire” incalzò un’altra voce più fredda della prima e risoluta, era l’altra guida. Fu in quel momento che si manifestarono, finalmente, ai miei occhi: la prima era una figura alta e fiera, un ghigno metallico gli faceva da maschera, procedeva con sicurezza una volta ripreso il cammino e spesso ci proferiva parola; la seconda guida era invece cupa, ammantata di stracci, leggermente curva, celava e traspariva immensa saggezza mista ad inquietudine.
Il viaggio mi sembro più piacevole, nonostante ci inoltrassimo in un’oscurità ancora più netta e dura, ma adesso le guide si erano rivelate ai miei occhi e interagivano con noi, cominciai a sentirmi più a mio agio insomma; strana però mi sembrò l’attrezzattura che avevano preso e per cui sostammo, si trattava infatti nient’altro che di stoviglie, vecchie stoviglie: due pentole, di cui una leggermente più grande dell’altra, due padelle anch’esse di misura diversa , un pentolino di stagno, uno scolapasta metallico e un mestolo; che strana attrezzattura era quella? A cosa ci sarebbe servita in mezzo al nulla del deserto?
Poi capii; sollecitati dalle guide ci passavamo l’un l’altro quel materiale facendo vibrare il suono metallico nell’aria cosi da poterci orientare e segnalare la nostra posizione, difatti mentre l’oscurità si infittiva ancora di più e il cammino si faceva più arduo, procedendo ora in una scalata fra le dune sabbiose, anche il suono delle nostre voci si affievoliva, mentre i richiami emessi dalle guide rimanevano chiari e regolari; lo stratagemma ideato dalle quelle strane figure che chiamavamo guide funzionò, conoscevano bene quei luoghi e procedevano con sicurezza, sostando quando qualcuno di noi rimaneva indietro, e molto spesso si trattava di Luca… Non avrei saputo dire se si trattasse di uomini mascherati o di altro, qualche strana entità forse, ma quel che è certo è che ci sentivamo al sicuro, anche quando cominciammo a udire i coyote non molto distanti; adesso il viaggio non mi faceva più paura, ero spinto adesso solo dalla curiosità. “Siamo vicini” disse l’individuo dal sorriso metallico “stiamo per arrivare”. Fu a quel punto che un boato ruppe il cielo cupo, poi una luce mi accecò.
Mi svegliai. Capii allora che tutto ciò che avevo visto e vissuto non era reale, l’avevo solo sognato. Non ero mai stato in quei luoghi. In principio mi sentii sollevato, poi però mi dispiacque, per le guide, di averle perse. Sembravano cosi vive e reali; sapevo che domani avrei rivisto i miei amici, a cui molto probabilmente non avrei raccontato di quel sogno, ma quelle strane figure, cosi rassicuranti nel bel mezzo del nulla, non le avrei più incontrate; fu cosi che mi distesi nuovamente nel letto con la certezza di non essermi mai mosso da lì quella notte.