La Confederations Cup è finita. Ha vinto il Brasile, annichilendo la Spagna in finale e portandosi a casa la terza edizione consecutiva. I gol di Fred e Neymar siglano il 3-0 finale. Nell’altra finale, quella per il terzo/quarto posto, l’Italia batte ai rigori l’Uruguay e sale nel gradino più basso del podio. L’Italia due volte in vantaggio viene raggiunta due volte, sempre da Cavani. Sblocca la partita una perfetta esecuzione di Astori, che al volo di destro pesca l’angolino e fa il gol del millennio. Diamanti su punizione riporta in vantaggio gli azzurri. Ma il Matador ci tiene a far durare la partita il più a lungo possibile e segna il gol che manda le squadre ai supplementari, utili solo per far espellere Montolivo, e successivamente ai rigori, dove Forlan, Caceres e Gargano regalano il successo all’Italia.
Bene, è giunto il momento di tirare le somme e fare le pagelle di questa Confederations Cup che verrà ricordata per sempre e ha regalato tanti bei momenti allo sport:
10 – Come i gol presi dall’Italia in cinque partite. Da difesa catenacciara e rocciosa a reparto aperto come le gambe di una puttana. Riusciamo nell’impresa di far fare tre gol al Giappone, regaliamo palloni a centrocampo per le comode ripartenze avversarie manco fossimo a Natale, diamo sempre la sensazione che l’azione avversaria possa portare al gol da un momento all’altro.
9 – Alla Fifa, che aveva due calciatori a pari merito in cima alla classifica cannonieri: Torres, quattro volte in gol contro Haiti e un gol contro la Nigeria; Fred, autore di una doppietta contro l’Italia, di un gol in semifinale contro l’Uruguay e della doppietta in finale contro la Spagna. Decisione quindi scontata e titolo di capocannoniere strameritatamente vinto da Torres. Idee che rivoluzioneranno il calcio.
8 – A Tahiti, che prende 24 gol in tre partite, ma diventa subito la seconda squadra più tifata dopo il Brasile. Nonostante ne abbiano presi dieci dalla Spagna e otto dall’Uruguay, nonostante nessuna squadra schieri la squadra titolare per affrontarli, nonostante tutto non fanno mai un intervento scomposto, non si innervosiscono neanche sotto 10-0. A fine torneo ringraziano con un cartellone gigante e tornano ai loro lavori normali. È questo il calcio che ci piace vedere nei campi di provincia, ma per la Confederations Cup no grazie: trovarsi Nuova Caledonia a Russia 2017 non sarebbe edificante.
7 – A Julio Cesar, appena retrocesso nella Serie B inglese col suo QPR, al quale approdò nello scorso settembre perché era tanto ambizioso. Nonostante la retrocessione, il portiere non ha perso il posto da titolare nel Brasile ed è stato votato miglior estremo difensore del torneo. Tre gol subiti (di cui due dall’Italia) e la capacità di rialzarsi dopo essere stato trattato a pesci in faccia dall’Inter
6 – Agli italiani espertissimi del pallone i quali trovano sempre qualcuno che, secondo loro, non dovrebbe giocare. All’inizio fu Giaccherini: inspiegabile il suo utilizzo dal primo minuto, è scarsissimo, non doveva neanche andarci in Brasile. Poi però Giaccherini è sempre stato tra i migliori in campo, quindi si vira su Buffon vecchio, bollito e più scarso di Marchetti. Tutto perché Prandelli di calcio non capisce un cazzo e se realmente ci capisse metterebbe lui al posto dell’altro, tizio al posto di caio e sempronio? Che fine ha fatto sempronio? Perché non gioca mai? Ha ereditato una squadra arrivata quarta nel girone mondiale con Slovacchia, Paraguay e Nuova Zelanda e in tre anni ha portato la squadra in finale dell’Europeo e ha perso la semifinale contro la Spagna solo ai rigori. Che belli gli esperti del bar.
5 – A Nnamdi Chidiebere Oduamadi giocatore che sigla tre gol nella sua prima partita di Confederations Cup e viene subito definito il nuovo Weah. In realtà le uniche analogie sono il colore della pelle e la squadra di appartenza, il Milan. Si scoprirà poi che non è Oduamadi il fenomeno ma la difesa di Tahiti raccapricciante. Si è scoperto inoltre che il ragazzo non è il nuovo crack del calcio italiano, ma un 23enne che gioca al Varese (in Serie B) e se non ha ancora sfondato nel calcio che conta probabilmente non è a causa della sfortuna. In realtà si sapeva anche prima, ma spiegatelo a Galliani.
4 – A Neymar, arrivato in Brasile con l’etichetta del fenomeno e dopo 94 secondi di Confederations Cup tira una sassata all’incrocio per far capire che non è solo l’etichetta. Talento purissimo per il 21enne brasiliano, che dimostra a tutti di poter fare certe cose anche fuori dal campionato brasiliano. Purtroppo è un bambino viziato, uno al quale non fecero battere un rigore e lui smise di passare la palla. Uno che passa più tempo a farsi foto in ascensore che in campo e, soprattutto, uno che si lancia in terra tra capriole e piagnistei per ogni cazzo di contatto. Speriamo che al Barcellona maturi e smetta con certi comportamenti infantili, altrimenti chiederemo aiuto a San Pepe da Madrid.
3 – A Sergio Ramos, che diventa rigorista proprio contro l’Italia. Contro il Bayern Monaco in Champions League ha mandato il pallone in curva, contro il Brasile lo tira fuori di un metro mancando quello che poteva essere il gol del 3-1, ma contro l’Italia si è dimostrato cecchino. Questo succede quando mancano valori sacri come la coerenza, valore che evidentemente non manca a Forlan, il quale calcia due rigori nella rassegna e li spara entrambi addosso al portiere di turno. Educazione e rigore per Diego, shame on you Sergio Ramos!
2 – Al Giappone, arrivato come rivale pericolosissima perché zeppo di calciatori di valore e perché allenato da Zaccheroni, mai stato un fenomeno in Italia ed emigrato in Asia perché non lo cagava più nessuno. Ma appena un allenatore va all’estero diventa il migliore di sempre. Così i vari Nagatomo, Kagawa (unico giocatore in questa Confederations ad essere eletto migliore in campo nonostante la sua squadra abbia perso, contro l’Italia) tornano a casetta con zero punti nel girone, battuti anche dal Messico.
1 – A Blatter, che non ha ancora capito un cazzo di quello che è successo in Brasile. Due settimane di scontri, proteste e manifestazioni con morti e feriti e lui ha il coraggio di dire: “Ha vinto il calcio”. Non c’è mai stato un giorno di tregua per una competizione che è stata pesantemente condizionata dagli indignados, i quali hanno potuto contare sull’appoggio di tutti i giocatori brasiliani, consci delle difficoltà esistenti nelle favelas. Il caro buon vecchio Joseph non ha idea di quello che dice, ma le stronzate le spara lo stesso.