Interviste, Mushic

Chi se ne frega della musica? Pt. 2 – Rainfall

Continua la nostra esplorazione dell’underground Metal italiano. Questa volta ci spostiamo in centro Italia, con i “Rainfall”, band di Roma.  Abbiamo scambiato due chiacchiere con la chitarrista Emanuela, ecco cosa ci siamo detti:

Ciao Emanuela, cosa ci puoi dire sui “Rainfall”?

Nella formazione attuale, i Rainfall nascono nel 2008 sulle basi di un progetto fondato qualche anno prima da me e Matteo, rispettivamente alla chitarra ritmica e a quella solista, al quale si unì quasi subito anche Veronica al basso. A questo nucleo originario, si sono uniti successivamente Giorgio alle tastiere e Paolo alla batteria. Dopo la dipartita di Matteo dal gruppo e un periodo di produzione musicale quasi esclusivamente strumentale (abbiamo avuto alcuni cantanti, ma in maniera saltuaria), nel 2008 Francesca entra a far parte della band completando la line-up; iniziamo allora ad arrangiare alcuni brani che hanno poi formato il nostro primo EP, “Lost In a Cold World”, registrato nell’estate del 2009. L’intenzione del progetto Rainfall è da sempre quella di mescolare insieme una molteplicità di influenze e generi musicali, che a volte potrebbero anche sembrare distanti anni luce l’uno dall’altro. Diciamo che esiste una certa filosofia “open-minded” che è alla base del nostro modo di fare musica, e ci piace ideare e sperimentare senza porci dei limiti entro i quali dover operare.

Cosa ci sai dire su “Fading Frames”?

“Fading Frames” è il nostro primo album, registrato e missato nel 2011 al Trick Studio di Tivoli da Andrea Mattei, grandissima persona e grandissimo artista. È stato indubbiamente la nostra prima grande soddisfazione, il primo lavoro importante sia per quanto riguarda la produzione artistica vera e propria, la composizione e l’arrangiamento dei brani, poi l’entrata in studio, il missaggio, il mastering (eseguito da Claudio Gruer al Pisi Mastering Studio di Roma), ma anche dal punto di vista del lavoro grafico realizzato per il disco, artwork e booklet, che ho curato personalmente; il nuovo logo ad opera di Dooms (www.dooms.it) e la stampa finale del supporto fisico. Dal punto di vista musicale si configura come un lavoro abbastanza particolare e, se vogliamo, anche un po’ fuori dagli standard musicali dettati dal genere. Abbiamo dato enorme spazio all’espressione delle nostre influenze individuali, che abbiamo messo insieme per creare un sound che ci caratterizzasse come band. A detta di molti, siamo riusciti nel nostro intento.

Come va la stesura dei nuovi brani?

Procede bene, anche se con gli innumerevoli impegni individuali di studio/lavoro a volte può risultare un po’ problematico incontrarci tutti quanti insieme in sala prove, però cerchiamo di fare sempre il possibile. Attualmente siamo a quota tre brani pressoché pronti, più uno in fase di finitura. Per quanto riguarda gli sviluppi dal punto di vista del sound, seguiamo sempre il binario della “sperimentazione” e non ci chiudiamo entro limiti definiti; come sempre, preferiamo rimanere aperti ad ogni stimolo ed influenza musicale (e non) che ci capita sotto tiro. Posso però dire che i nuovi brani rappresentano un po’ la naturale evoluzione di tracce come “The Eos Temple” o “Recoil”, presenti entrambi nel nostro album, solo un po’ più “cattivi” per certi aspetti, considerando anche il fatto che finora abbiamo prediletto accordature in drop D e C per i nuovi brani.

Come è la situazione underground romana ?

La situazione purtroppo non è delle migliori. A parte i pochissimi locali rimasti che acconsentono a dedicare delle serate a gruppi rock e metal emergenti, per il resto non si riesce a suonare quasi più in giro. Generalmente o si tende a dare la precedenza alle cover e alle tribute bands che, più o meno giustamente, comunque garantiscono un minimo di pubblico pagante, oppure si preferisce organizzare serate cantautoriali o dare maggiore spazio a generi meno “pesanti” e più adatti alle orecchie di tutti, come magari il pop o tipologie più leggere di rock, indie e affini. Nel peggiore dei casi, ti fanno suonare ma poi non pagano (a volte non passano neanche una cena o comunque qualcosa da mangiare prima del concerto) e questo purtroppo succede spesso.

Quale è la cosa più assurda che vi sia mai successa in un locale?

Ci è capitato di trovarci in situazioni scomode, più che assurde: mettendo da parte l’aver suonato – ahimè molte volte – senza retribuzione, in un paio di occasioni ci siamo esibiti in condizioni pessime su palchi che non erano neanche degni di essere chiamati tali. Un’altra volta abbiamo dovuto occupare una serata intera improvvisando pezzi acustici, con zero pubblicità da parte del locale. Nonostante tutto, però, anche di serate ben riuscite ce ne sono state parecchie, per fortuna.

Secondo te a cosa è dovuta questa situazione?

Sinceramente credo che le cause siano molteplici e complesse, quindi una vera e propria individuazione del problema di fondo è impossibile da trovare. In linea di massima, penso che l’Italia non sia il paese propriamente più adatto ad accogliere generi come il rock o l’heavy metal & affini, anche perché, se ci pensiamo bene, è da sempre il belpaese della musica leggera, la patria della lirica e dei cantautori, e negli anni questa cosa si è sì evoluta ma è rimasta comunque ancorata alle proprie radici e alle proprie tradizioni musicali. L’esempio più lampante che mi viene in mente al momento sono i Lacuna Coil: stra-conosciuti e seguitissimi a livello internazionale ma su suolo italiano non sono un “caso nazionalpopolare”. Suonano in giro per l’Europa, gli Stati Uniti ed il resto del mondo per, quanti, 9 o 10 mesi l’anno, forse? E qua in Italia, nel loro paese natale, faranno sì e no una decina di date (nel migliore dei casi), nonostante siano molto apprezzati e seguiti anche qua. Oppure pensiamo ai Rhapsody of Fire, ai DGM o agli Stormlord, solo per citarne alcuni, gruppi che quando vanno a suonare fuori lo fanno davanti a centinaia e centinaia di persone e magari quando invece suonano qua nei locali nostrani l’affluenza di pubblico non è la stessa. Spesso c’è poco seguito anche quando vengono a suonare note band(s) europee o internazionali qui in Italia, e ciò mi porta a sostenere ancora di più la tesi che ho esposto finora. Volenti o nolenti, la grande discografia nazionale influenza profondamente anche il mondo degli emergenti.

Esiste un modo per migliorare la situazione?

Personalmente sono sempre più convinta del fatto che se si vuole suonare rock, metal e generi più “heavy” bisogna guardare al mercato europeo o americano. Purtroppo qua a parte alcune piccole etichette serie che al massimo ti garantiscono una discreta distribuzione del tuo lavoro, di grandi realtà discografiche dedicate al genere non ce ne sono. È pur vero che internet e gli spazi sul web in generale aiutano un bel po’ i gruppi emergenti, ma per fare il cosiddetto “salto di qualità” se non hai una bella spinta pubblicitaria – e soprattutto finanziaria – da parte di chi il music business lo fa non concludi nulla e nella maggior parte dei casi il tuo gruppo rimane una realtà di zona e di nicchia. In definitiva, credo quindi che bisogna continuare a vedere la musica principalmente per ciò che è, ossia una passione da coltivare e condividere, e non cercare di farci i soldi perché è quasi impossibile… a meno che non si abbia il famigerato colpo di fortuna o le possibilità economiche per autofinanziarsi continuamente.

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About TmsKING

Tms K.I.N.G. vive una strana doppia identità: di giorno triste studente universitario, di notte si immerge in un universo parallelo cosparso di Machine Head e Trucebaldazzi. Vivendo da solo in questo infausto universo, cerca tramite i suoi articoli di trascinare qualcuno nel suo mondo contorto, per avere compagnia durante l'ascolto di un CD Brutal Metal di qualche band georgiana e godersi una pizza e un film, possibilmente di serie B …
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