Romanzo di formazione sulla donna di atavica imprevedibilità, ovvero apologia di una continua evasione.
Il pregiudizio e lo scetticismo sono stati d’animo da gassare sul nascere quando non c’è un appiglio concreto a conferigli ragion d’essere. Il titolo, la cover, la quarta di copertina di “Folli i miei passi”, ad esempio, mi suggerivano un’opera rivolta ad un pubblico femminile: non so, un racconto a tinte rosa che tanto piacerebbe al celebre sindacato delle poetesse da social network. Ovviamente mi sbagliavo. Dirò di più: si tratta senza dubbio di una delle migliori uscite delle Edizioni Socrates.
Sono certo che non riuscirò mai a cogliere l’essenza di alcuni romanzi tradotti dalla lingua originale, vuoi per un differente peso esperienziale tra autore e traduttore, vuoi per una sensibile distanza tra le sfumature anche solo del più insignificante dei vocaboli. In questo caso, forse per la vicinanza del francese, sicuramente per il buon servizio che fa al romanzo Maddalena Cavalleri, sono abbastanza sicuro di aver letto “La folle allure” (titolo originale ndr) come Bobin lo concepì prima che venisse alla luce nel 1995.
Se non ricordate questa battuta, rimediate immediatamente. “Qualcosa è cambiato” (1997); Jack Nicholson c’ha vinto un oscar.
La donna è per sua essenza “mobile qual piuma al vento, muta d’accento e di pensiero”, si sa da sempre.
Bobin fa suoi questi assiomi del romanticismo (perché no, spiccio) ma rincara la dose portando questa visione classica su un piano fortemente empatico, dalla tenerezza spiazzante. Sono un omone di ottanta chili con un evidente problema di alopecia androgenetica galoppante e gusti assolutamente deprecabili, e nonostante tutto non sono riuscito a sottrarmi al gioco dell’autore: a più riprese durante la lettura anche io ho abbracciato gli ideali di una ragazzina (una donna poi) svampita, sognante, dall’immaginazione siderale. Ho avvertito l’istinto sfuggevole di Lucie, la protagonista di questo delicatissimo romanzo: fotone impazzito, cuore leggero, donna antonomastica perennemente in fuga da qualunque certezza.
La fantasia fa volentieri a meno della razionalità, la libertà totale con l’affidabilità non va mai a braccetto. Lucie nasce e cresce in un circo che senza mezzi termini diventa causa e metafora della totale assenza di sovrastrutture etiche e morali che plasma la sua non-educazione. Gli occhi curiosi di Lucie trasformano ogni incontro in poesia e fiaba, in una storia da raccontare: Bach in musicassetta è un amante da proteggere, il lupo del circo è il suo principe azzurro.
Bobin sforna aforismi manco fosse Oscar Wilde (questa sua passione per il lirismo d’effetto è confermata da tutte le sue pubblicazioni precedenti, quantomeno da quelle che ho letto). Ogni pagina ne contiene una decina. Farebbe la fortuna di una fabbrica di biglietti d’auguri, o di t-shirt. Insomma questo libro è già un classico. Fidatevi.
Lo stile è soave, le pagine volano e Lucie nel tempo sembra rivelare con prepotenza caratteristiche troppo spiazzanti anche per il suo demiurgo. Mi piace credere che Bobin la trovi insopportabile in fondo: troppo lunatica per lui. Immagino che se incontrasse per strada una donna così, con la sua decisa inconsistenza, se ci parlasse qualche minuto lei finirebbe per irritarlo. La libertà, quella vera, è per noi educati cittadini uno stato incomprensibile.
Menzione d’onore per la descrizione che il padre di Lucie fa di noi italiani (in fondo, conferma dell’infinito subliminale anti-italianismo dei nostri cugini d’oltralpe): “In Italia, ciò che sta dentro, viene messo fuori. I panni da asciugare, il cuore da lavare, mettono tutto in strada, su di un filo tra due finestre, e fanno l’inventario parecchie volte al giorno, davanti ai vicini, in un interminabile teatro di grida e risa. In apparenza tutto è allegro – soltanto in apparenza. Gli italiani sono tristi, imitano troppo la vita per amarla realmente, sanno di morte e di teatro[…]” . Non fa una piega. Touché.
Costa 10 euri (poco) e li spendereste bene.