Recensioni

METTE PIOGGIA, Gianni Tetti

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non si giudica un libro dalla copertina, ma porca miseria questa è bellissima.

 

Mette pioggia ma dal cielo dovrebbero cadere rane come in “Magnolia”.

“L’uomo rovinerà completamente la terra?” è la domanda ricorrente. Chi la pronuncia sarà caratterista fisso, sfuggevole e misterioso di ogni racconto. Ma i protagonisti saranno altri.

Comunque, sì certo, ovvio, l’uomo rovinerà completamente la terra. Che ce lo chiediamo a fa’?
Il come ce lo racconta Tetti in una serie di racconti ad intreccio, uno per giorno della settimana. Domenica Dio si riposò, Tetti invece chiude la storia, con una carezza.

Si respira aria di apocalisse in Sardegna: una precisa via di Li Punti, nel sassarese, si fa inconsapevole microcosmo  di un’umanità miserabile. Il vento è asciutto come l’alito di Satana. Lo scirocco sotto sotto è un po’ il segno della sua mefistofelica presenza, dicono. Lo scirocco profuma di malaria, e c’è questo mal di pancia che è persistente e colpisce un po’ tutti.
I protagonisti racconto dopo racconto avvertono che qualcosa sta per cambiare, che c’è qualcosa che non va. Sono le loro azioni a dimostrarlo. Il loro corpo animale ha carpito l’essenza catastrofica di quella strana atmosfera. La mente non coglie invece: svalvola.

Lo stile è asciutto e privo di fronzoli: non c’è spazio per aggettivi pomposi e avverbi inutili. Tizio fa questo. Gianni mi ha detto quest’altro. Molecole autoconclusive perfette. E siamo dentro la testa dei personaggi senza nemmeno accorgercene. Pluf.
E’ un flusso continuo: le proposizioni sono brevi e ad ogni pausa si ha l’impressione di dover passare al capitolo successivo e invece ecco che ancora si continua, si scende più in basso, si può pensare di peggio, si scava. I dialoghi non sono segnalati da interpunzione (rendendo la lettura ancora più scorrevole e claustrofobica) e l’autore padroneggia questa tecnica con estrema maestria.

Mentre leggevo poi, mi si riproponeva in mente un’opera di Banksy che sostanzialmente non c’entra molto, se non per il titolo (“The banality of the banality of Evil”). Ed eccoci – secondo me – al nucleo dell’opera di Tetti: la mediocrità delle nostre piccole cattiverie, la banalità uterina di ogni nostro sopruso. La miseria, quella vera, quella umana, da cui non si può scappare.
Starà a voi lettori contraddire -eventualmente- questo collegamento.
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Nello stato di follia persistente dei protagonisti e (perché no?) dell’autore, all’interno di un mood che attraversa il thriller psicologico, la commedia nera e lo splatter, spesso realtà ed immaginazione tendono a confondersi. Per questo motivo il finale – che non vi rivelo mica – può prestarsi a molteplici interpretazioni. Ma forse anche no. Io dico di no.

Per concludere: l’umanità fa schifo, Tetti ci vuole morti e i NEO con lui. E fidatevi, hanno ragione.

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Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, E.A.Paul si trovò trasformato in Enrico Beruschi
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