I Razzie come gli oscar sono dei premi del cinema che ogni anno vengono assegnati ad Hollywood nel periodo di febbraio (lo stesso degli oscar).
Si sa, i premi sono sempre regolati da dinamiche che spesso poco o nulla hanno a che fare con la mera critica tuttavia non sono rare le occasioni in cui Razzie e Oscar offrono la giusta vetrina alle opere che – davvero – meritano rispettivamente menzioni di disonore e d’onore.
I razzie non di rado regalano momenti di spessore: le 12 nominations (tutte vincenti) di “Jack & Jill”, grottesca opera di Adam Sandler che annovera tra i membri del cast anche uno smarrito Al Pacino(?) – e la premiazione di Sandra Bullock nel 2009 come peggiore attrice protagonista – e per la peggior coppia insieme a Bradley Cooper – per “A Proposito di Steve” ; la singolarità qui sta nel fatto che la sera prima, proprio la Bullock avesse ritirato il premio Oscar come Miglior attrice per The Blind Side.
Gli oscar di solito – quasi sempre – sono prevedibili poiché matematici: furor di popolo + critica + zeitgeist + dibattito politico americano (+olocausto e/o neri e/o omosessualità) ed ecco fatto, magari l’algoritmo è un po’ più complesso di una semplice sommatoria ma i miei studi di ingegneria si sono fermati dopo una settimana, quindi famose a capi’.
C’è da dire che non si tratta di una annata ricchissima; ecco che quindi un horror originale (e poco più) come “Get Out” si trova nella lista dei migliori film , e “Lady Bird” (visto l’andazzo delle polemiche che hanno fatto seguito allo scandalo Weinstein) un piccolo film indie che fino a pochi anni fa avremmo visto solo io e mio Zio Gaetano, oggi è tra le nomination insieme ad un delicatissimo e fortunato “Call Me By Your Name”.
Il film favorito per la premiazione era ovviamente e giustamente “The Shape of Water” di Guillermo del Toro per lo svampito citazionismo e il coraggioso mix di generi. Per la regia e i risultati tecnici, plagio permettendo. Ed infatti ha vinto.
Tuttavia ecco che parlando di mix o di ambiguità di generi subito salta fuori il grande assente “MOTHER!”.
MOTHER! è per quanto mi riguarda – se non il migliore – il più importante tra i film del 2017.
Perché ambizioso quanto il film di Del Toro ma più divisorio.
Mother! racconta le vicende di una coppia che si ritira in una casa sperduta e isolata in una ampia prateria americana per seguire le ambizioni di lui: scrittore – a quanto pare – dal passato glorioso e in crisi da foglio bianco.
Lei si occupa di ristrutturare la vecchia e malandata casa, lui cerca la vena poetica. Tutto tranquillo finché degli ospiti sgraditi o forse no cominciano ad autoinvitarsi in casa. Lei è perplessa, lui sembra accettare di buon grado se non addirittura assecondare queste spiacevoli presenze.
E proprio alla perplessità di Lei mi collego per tornare al discorso dei Razzie: Jennifer Lawrence è stata nominata come peggiore attrice. Per carità il suo ruolo per quasi tutto il film è quello de “la donna perplessa in balia di eventi imprevedibili”, ma nominarla per demerito è davvero eccessivo.
Se ci concentriamo sul valore pubblicitario di una nomination ai Razzie della Lawrence, per la manifestazione anti-oscar, ecco spiegato tutto, ma sommando questa onta all’assenza di una qualunque nomination alla premiazione più seria dell’academy, è troppo da accettare per un film di questo valore.
Mother! è stato fischiato (FISCHIATO) a Venezia, perché brutale e perché il finale è obiettivamente una irrazionale caciara, ma tutto torna al suo posto con la giusta lettura.
Anzi, se la chiave arriva subito o troppo presto, allora il film può apparire come piatto e didascalico (anche se per quanto mi riguarda, mantenendo un forte valore artistico intrinseco, comprendere eventuali colpi di scena non dovrebbe influire sulla percezione della sua obiettiva qualità).
Capisco che il film possa essere depotenziato da eventuali spoiler (la locandina in parte lo è, e credo sia stata una pessima scelta) o da un buon intuito, ma allora bisogna fare un passo indietro e capire che c’è un problema di percezione relativa che va contrapposto ad un valore assoluto.
Un bicchiere di vino può essere fantastico o disgustoso, dipende da ciò con cui viene accompagnato e dalla dimensione dei sorsi, e dal palato di ciascuno.
E parlando d’arte… sapere tutto di un quadro prima di andarlo a vedere non rende la visita al museo superflua.
Temo ci sia la tendenza a svilire la potenza di un film una volta trovata la chiave di lettura, come un gioco che è divertente solo fintanto che non si è risolto. Personalmente mentre guardavo il film non mi era tutto chiaro se non dopo una buona parte, a quel punto ammetto di aver trovato il simbolismo a tratti didascalico e fin troppo palese ma questo non ne sminuisce affatto la forza, dando per sottinteso che TUTTE le letture personali di un’opera d’arte rimangano nel 99,999% personali appunto. Lo stesso artista non crea con l’idea di inviare un messaggio preciso, credo, ma una suggestione, labile e aperta alla libera interpretazione.
E’ un film che ti obbliga al ritorno, nei giorni successivi. Che ti costringe alla visita, per una maggiore comprensione, o meglio digestione.
Nota di merito per gli attori: perfetti.
(Jennifer Lawrence a parte, il cui personaggio assolutamente inerte sarebbe potuto essere interpretato da praticamente chiunque, e la quale temo e credo sia stata scelta solo per due ragioni :
1 – dare al regista l’opportunità di provarci – femministe achtung Aronofsky non è nuovo a flirt con le sue attrici e adesso mi pare proprio che stia insieme alla Lawrence
2 – per motivi “pubblicitari”)
Lo scrittore protagonista, insieme alla Lawrence, del film è una figura forte, carismatica, affascinante: Bardem è il profilo ideale. Poi serviva una coppia di una certa età che fosse inquietante, che avesse una certa storia “politica” ed una aura erotica. Ed Harris è un po’ fascio, e Michelle Pfeiffer è ancora stupenda.
Ed entrambi hanno alle spalle trascorsi reali e cinematografici che calzano a pennello.
In conclusione, nonostante sia stato abbondantemente sottovalutato da critica e pubblico, ritengo che per tutto quello che è stato scritto sopra MOTHER! , nonostante alcune velleità autocompiaciute del regista Aronofsky (ma quale regista, salvo dovute eccezioni e generi, non si guarda allo specchio?) è un film in potenza magistrale, in quanto rivela, sotto a tre livelli di lettura della trama, che tipo di spettatori e di osservatori siamo.
Aronofsky un po’ si loda in questo gioco di simboli alti e metafore ai limiti dell’imbarazzo e lo spettatore troppo cinico e autocompiaciuto della propria intelligenza, a sua volta – cadendo negli stessi errori per i quali critica il regista – smonta i livelli del film definendoli semplici e prevedibili.
L’arte è tale in quanto rispecchia chi siamo.
8 e ½ di Fellini resta un film inarrivabile e rappresenta più di quello che è impresso sulla pellicola. È un bivio che divide il pubblico in due fazioni: quelli che amano i film e quelli che amano il cinema.
Sotto a questo capostipite ogni film (di un certo livello) ha questa involontaria necessità, quella di rivelare allo spettatore qualcosa in più su di lui.
Anche Mother! è un bivio che divide lo spettatore disincantato da quello disposto a farsi trasportare dalle intenzioni del regista.
Aronofsky ha voluto trastullarsi con lo spettatore disseminando qua e là grossi indizi per risolvere il gioco: c’è chi non ne aveva bisogno e c’è chi si è lasciato aiutare. La possibilità di divertirsi però resta, in entrambi i casi.
Mother! non è un capolavoro, non è il miglior film di Aronofsky e forse non è il miglior film del 2017, ma ha aperto un dibattito serio e creato polemica: quello che NESSUNO di quelli in nomination è riuscito a fare.
E un’opera d’arte, persino la più intimista, che non infervori e che non spinga al confronto è un fallimento.
Uno sforzo sterile.